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Channel: Commenti a: Non ce la raccontiamo
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Di: Raffaele Birlini

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C’era una volta un mondo privo di intrattenimento, cupo, rigido, dove perfino il teatro popolare era visto come la dimostrazione che l’uomo abbandonato a se stesso ritorna a essere un animale. In questo mondo l’unico passatempo consentito era la preghiera o l’esercitazione marziale, la musica sacra o imperiale, pittura e scultura rigidamente conformi a regole tramandate fin dall’antichità, rappresentazioni di storie educative di impronta fortemente drammatica. L’intrattenimento era una forma di divulgazione della cultura e la cultura era nelle mani dell’aristocrazia, dell’élite nobiliare, militare, ecclesiale. Poi venne la rivoluzione industriale e nacque la borghesia, portando con sé musica profana, pittura indecente, spettacoli deprecabili, la caduta dell’ordine e l’avvento del caos. L’intrattenimento diventa prurito, scandalo, burlesque e grand guignol, nello squallore generale di agglomerati urbani fetidi, corrotti, squallidi, formicai di uomini che muoiono di peste mentre si trascinano alla ricerca di cibo tra le fogne a cielo aperto e la fuliggine dalle ciminiere. Poi vennero le riviste, poi il cinema, poi la tv, poi internet. Ci sono in giro questi curiosi personaggi che se ne vanno affermando come il progresso sia servito a far sì che l’intera popolazione oggi sia l’aristocratica-democratica èlite (si noti l’ossimoro schizoide tipico della post-modernità) che coltiva il gusto dell’estetica, approfondisce discorsi filosofici, garantisce e protegge il giardino della cultura finanziando studiosi e scienziati e artisti, come se davvero la selezione non venisse effettuata da persone, il funzionario di partito al posto di una contessa, un barone universitario al posto di un colonnello, ma da procedure asettiche in grado di dar corpo alla meritocrazia dove il bello diventa un algoritmo, la poesia il prodotto di un processo ricorsivo eseguito dal computer. Invece tutto questo è l’illusione di chi non vuole dichiarare il proprio fallimento, la bugia di un futuro meraviglioso che la tecnica non può realizzare senza snaturare e distruggere ciò che rende umani gli uomini. Il risultato è superman, è il sogno dei viaggi interstellari, la vita eterna anche se dentro a una bara criogenica, non ci sono macchine che materializzano il cibo dal nulla premendo un bottone, non c’è un governo mondiale dove un presidente dall’aria forte ma saggia, gentile ma virile, comprensivo ma determinato, regge le sorti di un’umanità sorridente e soddisfatta che passeggia in calzamaglia in locali asettici e climatizzati. C’è una profonda spaccatura fra il ragazzino che a scuola studia il latino e quando esce accende la console e mette su skrillex. C’è una spaccatura fra il cittadino che al lavoro sembra un mix fra gesù-omero-hitler-dante-robot-amleto e quando torna a casa si piazza sul divano a mangiare la pizza surgelata davanti a programmi trash. La pretesa di tenere in vita quel mondo di giornalismo sano e svincolato dalla corruzione della politica, di politica sana e svincolata dalla corruzione del potere, di cultura sana e svincolata dalla corruzione del commercio, è un sogno virato seppia, un film restaurato, sa di fotografie al cimitero che ci vengono in mente quando temiamo di far brutta figura, di deludere chi ci sta guardando, e allora recitiamo, fingiamo anche con noi stessi, diciamo al telefono che va tutto bene anche se ci esce sangue dalle orecchie. La cultura è sempre stato un prodotto di lusso commissionato da pochi, eseguito da pochi, fruito da pochi. La cultura popolare (si noti l’ossimoro) è intrattenimento, e il valore della cultura popolare si esprime nella capacità dell’opera di aumentare il fatturato di chi la duplica, la distribuisce, la pubblicizza, cura il merchandising, si aggiudica prelazioni sul sequel. Oppure di spostare voti, favorire carriere, spingere la vendita della marca di gelato che mangia l’eroe nella scena dell’esplosione così come l’idea che i gatti ciechi debbano avere più diritti rispetto ai cani sordi. Il mondo era già così molto prima di facebook, solo che nel frattempo Sartre è morto, ai caffè parigini ci vanno i pensionati e discutono di quello che han visto alla tv, i cani sporcano e non piacciono più nemmeno ai bambini, e tutto l’insieme parigi-caffè-sartre-cani puzza di marcio al naso di chi non recita la parte nell’ennesimo spot per venderci ancora e ancora la promessa di una perfezione che è sempre a portata di mano, in un mondo futuro, ma di poco, lontano, ma non così tanto, come la carota davanti al muso del somaro.


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